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Savelletri di Fasano (BR), 6, 7 e 8 giugno 2011. Rieccomi qui a raccontare della più grande manifestazione enologica pugliese: Radici, il festival dei vitigni identitari.

Avevo partecipato tre anni fa, nella terza edizione, e rispetto allora tante cose sono cambiate. Intanto già nel nome: da “Radici, festival dei vitigni identitari di Puglia e Lucania” a “Radici del Sud, festival dei vitigni autoctoni meridionali”. Infatti quel geniaccio di Nicola Campanile, patron della manifestazione, ha voluto allargare gli orizzonti verso le altre regioni del Sud, ovvero Campania, Calabria e Sicilia, creando forse la più grande vetrina enologica del Sud Italia, riuscendo a coinvolgere quasi 140 produttori.

La formula delle degustazioni, rigorosamente “alla cieca” è rimasta intatta: vi sono due giurie, una degli appassionati, di cui ho l’onore di farne parte, e una cosidetta degli esperti: la somma dei voti delle due giurie decreterà il vincitore assoluto, mentre ognuna delle due giurie darà la propria preferenza per ogni tipologia di vino. La giuria degli appassionati è stata ribattezzata degli “autoctoni”, in quanto formata da sommelier, ristoratori e consumatori pugliesi, campani, lucani, calabresi e siciliani, mentre l’altra giuria, quella degli esperti, è formata da noti giornalisti del settore e importanti buyers internazionali (leggi qui tutti i nomi).

Il tipo di location per le degustazioni è cambiato rispetto tre anni fa. Se nel 2008 si sono svolte in una tipica masseria rurale adibita ad agriturismo, quest’anno si è scelto una nuova struttura ricettiva, un vero e proprio resort, con tanto di piscine, centro benessere, ville da sogno, campo da golf, spiaggia privata, tutto nel segno del lusso. Si tratta di Borgo Egnazia, un gioiello perfettamente incastonato tra la distesa di ulivi secolari e l’azzurro mare di Savelletri.

Dunque grandi novità quest’anno, nuovi volti ma anche vecchie conoscenze. Immancabile il temutissimo Franco Ziliani, giornalista e wine blogger dalla tastiera tagliente, difensore dell’autoctono, del monovitigno e del disciplinare, sempre più innamorato della Puglia enoica, che quest’anno non si è accontentato di fare il “semplice” giurato, ma è qui in veste di aiuto organizzatore, insieme con l’altro grande blogger, il giornalista campano de Il Mattino Luciano Pignataro.

Tra i miei compagni d’assaggio ritrovo con piacere Giuseppe Misuriello, patron dell’Osteria Marconi di Potenza, e Francesco Zompì, avvocato di professione, dal palato allenatissimo, che ingurgita tutto, rimanendo sempre lucido nelle valutazioni, fino al sessantesimo sorso. Entrambi hanno una grande sensibilità al naso, riuscendo a trovare i minimi difetti, anche dai bicchieri altrui!

Ci sono poi i volti storici del concorso, come Betty Mezzina (AIS) e Teodosio Buongiorno dello stellato “Già Sotto l’Arco” di Carovigno, che dopo le cinque edizioni nella giuria esperti, quest’anno è il presidente del nostro gruppo, che è un bellissimo panel di appassionati. variegato, tra i quali ho il piacere di conoscere Rossella Ricci de “Al Fornello da Ricci” di Ceglie Messapica, alla quale ho promesso di andarci, e poi tutti gli altri: Ada Sguazzo, dalla Campania, l’enotecario brindisino Anelli, l’agronomo Enzo Verrastro, Giuseppe Galeone del ristorante Il Castelletto, ecc.

Ritrovo, inoltre, proprio di fronte a me il dott. Giuseppe Baldassarre, geriatra di professione, sommelier per passione, che è stato proprio colui che mi ha esaminato al test finale per l’attestato AIS: non posso certo deluderlo!

Comunque, che siamo una squadra fortissimi, fatta di gente fantastici, lo si capisce dal test iniziale dei primi tre calici, dove si evince una coesione di sensazioni e una comune linea di valutazione.

Se nel 2008 più di cento vini da assaggiare in due giorni mi sono sembrati un’enormità, in questa edizione dovrò fare davvero un grosso sforzo mentale: ben 212 prodotti in tre giorni!

Ma iniziamo con gli assaggi. Si parte al mattino con i vini bianchi. Tra quelli pugliesi, hanno dato maggior soddisfazione i vini ottenuti da Fiano Minutolo, un vitigno riscoperto e valorizzato, soprattutto nella Valle d’Itria, ma non hanno deluso neanche gli altri fiano ed i bombino bianco. Una piccola delusione invece è stata riscontrata dai vini campani da Falangina, spesso privi di nervo, tranne qualche eccezione. La Falangina è un vitigno che rappresenta bene la Campania, in quanto cresce bene solo in questa regione, ma deve essere meglio interpretato, magari individuando la migliore zona. Certo, per la Campania avrebbero potuto “gareggiare” vini bianchi più importanti, quali il Fiano di Avellino o il Greco di Tufo, ma così si rischiava, a detta degli organizzatori, di confinare troppo il territorio.

La sessione pomeridiana ha avuto per protagonisti i vini rosati, confermando la buona propensione a questa tipologia del negroamaro. Si è continuato la degustazione con vini rossi calabresi da Gaglioppo, della cui descrizione ci ha aiutato Saveria Sesto, assaggiatrice ONAV giunta dalla Calabria: una piccola batteria di 9 vini che hanno un sorpreso, in maniera positiva, un po’ tutti. E chiudiamo la sessione con un altrettanto piccola ma interessante batteria di Nerodavola, ben spiegati da Francesca Tamburello, sommelier professionista palermitana.

Il secondo giorno è la volta dei rossi pugliesi, lucani e campani. Il Nero di Troia non ha dato grandi soddisfazioni: la consistente batteria formata da 30 vini ha denotato le troppe diversità e difficoltà di interpretazione di questo vitigno, solitamente scontroso, dando raramente una sua impronta stilistica ben definita. Meglio se “tagliato” con Montepulciano? L’Aglianico del Vulture non ha disatteso la sua fama di importante vino da medio-lungo invecchiamento, senza però aver dato delle punte di eccellenza.

Al pomeriggio si è ripreso con i rossi da Negroamaro, che sono risultati un po’ sottotono rispetto a quello che ci avevano abituato in altre occasioni, forse per un uso eccessivo del legno: questo vitigno dà il meglio se combinato con una parte di malvasia nera, come è uso in alcuni disciplinari, tra i quali il Salice Salentino. Si continua la degustazione con l’Aglianico della Campania: vini ben fatti ma che non ha suscitato particolari emozioni. Il gruppo misto dei vini rossi da vitigni autoctoni pugliesi ha fatto riscoprire le potenzialità del susumaniello. La seconda giornata si conclude alla grande con i Taurasi, vini rossi da Aglianico che hanno confermato il valore di questa denominazione, regalando belle sensazioni gusto olfattive a tutti i presenti, significando che il terroir fa la vera differenza.

La terza giornata è tutta dedicata al Primitivo, rappresentato da ben 33 etichette. Tutti i timori iniziali per i difetti che i vini di questa varietà ha denotato un po’ troppo spesso nel passato, sono subito smentiti. Nessuna puzzetta di gomma bruciata, residuo zuccherino quasi del tutto eliminato, piacevoli sensazioni odorose, grande succosità e frutto ben amalgamato: probabilmente la successione degustativa più emozionante della tre giorni.

Non sono certo mancati i momenti di svago, soprattutto durante il pranzo che divideva le sessioni di assaggio, quando si cercava di trovare la bottiglia con il numero corrispondente a quello meglio valutato. Poi, la piscina era lì davanti a noi, molto invitante, dato il caldo...

Ad ogni modo, e qui siamo tutti concordi, è stata una piacevolissima successione di assaggi, dove si è potuto davvero apprezzare le potenzialità espresse dai nostri vini meridionali grazie all’impegno dei produttori rivolto verso la qualità più che alla quantità.

Oltretutto, quest’anno, si è avuto una significativa convergenza di opinioni tra le due giurie. E questo è stato ribadito dalla presidente della giuria internazionale, l’emerita giornalista inglese Jancis Robinson, la quale, raccogliendo le sensazioni di tutti gli altri giurati, è rimasta entusiasta per la varietà di tipologie, nessuna uguale all’altra, ognuna con una propria identità, che hanno reso per nulla noiosa la lunga tre giorni di degustazioni. L’auspicio è quello di far perseguire ai produttori questa strada della valorizzazione dei vitigni autoctoni, anche quelli cosidetti minori. Nell’ultima serata, al termine del convegno moderato dal simpatico giornalista radiofonico Federico Quaranta (Fede), che insieme a Tinto conduce su Radio Due Decanter, davanti ad una gremita platea formata da produttori, giornalisti, sommelier e semplici appassionati, sono stati proclamati i vini più “apprezzati” dalle due giurie. Come ha giustamente precisato Nicola Campanile, non si è trattato di un vero e proprio concorso enologico, ma si sono voluti premiare quei prodotti che hanno suscitato maggiori emozioni durante le degustazioni, il che, come ha ribadito lo stesso Teodosio Buongiorno, non significa che siano i migliori in assoluto. Questo perché il vino è un prodotto vivo: la stessa bottiglia può dare diverse sensazioni a seconda del momento, di una situazione o di un contesto. (Leggi qui tutti le preferenze). La Robinson ha anche suggerito ai produttori di fare più comunicazione, per meglio far conoscere a tutto il mondo la qualità dei vini del Sud, che nulla hanno da invidiare a quelli del Nord, ma di moderarne il volume alcolometrico.

E poi il gran finale: sono stati aperti ai numerosi invitati i banchi d’assaggio con tutti i vini partecipanti al concorso e la cena servita a buffet con i piatti proposti dalla Masseria Petrino di Palagiano e dalla Masseria Barbera di Minervino Murge.

Da parte mia, con un pizzico di orgoglio di appartenenza e l’innato Istinto Primitivo, non posso non essere soddisfatto per i risultati ottenuti dai vini della provincia di Taranto che si sono ben distinti, tra i quali cito con piacere la giovane azienda “Tenuta Giustini” di Pulsano, che ho visto nascere e crescere. Questo lo dico per quei produttori giovani che, nonostante le mie incitazioni, non hanno avuto lo stesso coraggio di mettersi in gioco in una manifestazione così importante. Non per vincere, ma per partecipare: il miglior modo per comunicare i propri prodotti è quello di farli assaggiare!

Paolo Bargelloni

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